Al Ministro dei Beni e Attività Culturali
On. le Dario Franceschini
e p.c.
al Presidente della Commissione VII del Senato
On. le Andrea Marcucci
al Presidente del Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici
Prof. Giuliano Volpe
OGGETTO: Liberalizzazione riproduzioni di beni culturali a scopo di studio
Onorevole Ministro,
tra le novità introdotte dal decreto legge 31 maggio 2014 n. 83 (cd. Art Bonus) risulta particolarmente apprezzabile il terzo comma dell’articolo 12, grazie al quale è stata liberalizzata la riproduzione di tutti i beni culturali e sul quale ci si intende qui soffermare. Come è stato ribadito pubblicamente da Giuliano Volpe, Presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, il contenuto originario del decreto rischia oggi di essere polverizzato a causa di un dissennato emendamento approvato in sede di conversione del decreto in legge alla Camera dei Deputati che esclude dalla liberalizzazione sia i beni archivistici sia quelli bibliografici. Nella ferma convinzione di interpretare le esigenze diffuse di chi è impegnato nello studio, nella valorizzazione e nella promozione dei beni culturali, dagli studiosi ai professionisti del settore, con il presente appello si richiede con forza di ripristinare l’intento originario del decreto.
Dal primo giugno con l’entrata in vigore del decreto nelle biblioteche pubbliche e negli Archivi di Stato è stato finalmente possibile riprodurre liberamente con la propria fotocamera digitale documenti di archivio e manoscritti eliminando una volta per tutte la corresponsione di qualsiasi canone di riproduzione, ma al tempo stesso è stata soppressa la richiesta di autorizzazione preventiva e di concessione per eventuali pubblicazioni qualora non vi fosse fine di lucro, nell’ambito di una semplificazione nelle procedure amministrative da cui traggono senz’altro vantaggio gli stessi istituti culturali. Per i numerosi studenti, dottorandi e ricercatori che frequentano e animano ogni giorno archivi e biblioteche, spesso carenti di risorse economiche, ciò ha comportato naturalmente straordinari benefici non solo dal punto di vista economico ma anche in termini di tempo, soprattutto negli istituti in cui la riproduzione era affidata in esclusiva a ditte private in outsourcing. In definitiva il principio costituzionale della libertà di ricerca (art. 9) avrebbe trovato in questo modo la sua più piena e matura espressione.
Il sogno appena descritto purtroppo si è rivelato assai effimero: in data 9 luglio, poco più di un mese dopo l’entrata in vigore del decreto, nel corso della conversione in legge del decreto, la Camera dei Deputati ha approvato un emendamento che di fatto annullava la portata rivoluzionaria del decreto escludendo dalla libera riproduzione i beni bibliografici e archivistici. Tale emendamento restrittivo porta la firma dell’on. Flavia Nardelli Piccoli, segretaria della Commissione Cultura della Camera, ed è stato sottoscritto da tutti i componenti del Partito Democratico di questa commissione e di quella delle Attività produttive.
Le ragioni di una simile retromarcia non sono ancora note. Sono comunque da escludere a priori possibili ragioni legate alla conservazione, in quanto l’attività di riproduzione a distanza avviene contestualmente alla consultazione, anzi ne diventa parte integrante; di conseguenza i fondi speciali e di particolare pregio che si conservano negli archivi, essendo esclusi normalmente dalla consultazione rimarrebbero esclusi anche dalla libera riproduzione, come infatti avviene ancora presso l’Archivio di Stato di Firenze, che ha prontamente recepito il decreto, ma che domani, se l’emendamento diventa legge, potrebbe tornare a vietare la libera riproduzione. E’ vero semmai l’esatto contrario, in quanto la libertà nell’uso della fotocamera digitale risponde assai meglio alle esigenze prioritarie di conservazione dei beni culturali: sarà infatti sufficiente qualche scatto per evitare non solo il contatto diretto con il supporto, ma anche la manipolazione fisica dei documenti (e quindi la loro usura), che le consultazioni ripetute e prolungate nel tempo inevitabilmente comportano.
E’ più verosimile che l’emendamento sia stato il frutto di pressioni sorte in seno alla stessa amministrazione archivistica o di altri enti di conservazione e che, una volta sottoposta ai deputati sia stata prontamente accolta senza tuttavia che la maggior parte dei sottoscrittori si sia adeguatamente soffermata a valutare la reale portata di tale modifica. Si è forse inteso assecondare una spinta reazionaria da parte di chi vedrebbe ridotto in questo modo i propri ambiti di controllo, cioè di potere discrezionale di intervento. E’ superfluo rimarcare tuttavia che l’unico e primario interesse da salvaguardare sia piuttosto quello pubblico legato alla libertà della ricerca e tutelato nel modo più solenne dalla Costituzione, al cui dettato del resto si richiama esplicitamente la relazione della Camera dei Deputati che ha accompagnato il decreto nella redazione originaria e da Lei stesso firmato. Se si mantenesse la modifica apportata dall’emendamento, da un lato si permetterebbero le fotografie nei musei, dall’altro si escluderebbero dalla libera riproduzione i documenti d’archivio e i manoscritti delle biblioteche creando una incomprensibile eccezione nell’applicazione del dettato costituzionale al quale si richiama il decreto che, non a caso, nella versione originaria non opera alcuna distinzione tra i beni culturali oggetto di liberalizzazione.
L’auspicio è dunque che nei prossimi giorni, in sede di discussione al Senato, si possa meditare più a fondo sulle gravi ripercussioni che inevitabilmente questa repentina inversione di marcia comporterebbe sull’attività di ricerca. In caso contrario si perderebbe una volta per sempre una formidabile occasione di riforma. Non solo, sarebbe anche l’ennesima dimostrazione della scarsa determinazione della politica di agire sulla pubblica amministrazione che, è bene ricordare, deve trovare la sua prima vocazione nel servire la Repubblica e i suoi cittadini.
In nome del principio della libertà di ricerca, con la presente si fa appello a Lei, onorevole Ministro, e al Partito Democratico di cui è autorevole membro, affinché l’emendamento proposto alla Camera il 9 luglio da alcuni degli esponenti dello stesso partito, sia rimosso nel corso dei lavori in Senato prima della sua definitiva conversione in legge, al fine di ripristinare il dettato espresso nella sua prima formulazione favorendo quindi la libera riproduzione per fini di studio dei documenti degli archivi storici, dei manoscritti e delle opere a stampa non più tutelate da copyright nelle biblioteche.
E’ giunto il momento di cambiare finalmente passo, anche attraverso iniziative concrete ed esemplari come questa volte a promuovere la ricerca storica, per definizione condotta sulle fonti documentarie, la quale langue ormai da tempo in Italia, costringendo, oggi più che mai, una moltitudine di giovani studiosi all’emigrazione per continuare a svolgere con passione e profitto la propria attività di ricerca.
RingraziandoLa per la cortese attenzione, voglia gradire i più cordiali saluti con l’augurio di buon lavoro.
Andrea Brugnoli, dottore di ricerca in Storia medievale (Università di Verona)
Mirco Modolo, dottore di ricerca in Archeologia (Università Roma Tre)
Fabrizio Federici, dottore di ricerca in Storia dell’Arte (Scuola Normale Superiore)
Angelo Restaino, dottore di ricerca in Paleografia Latina (Università La Sapienza)
Giulio Del Buono, dottore di ricerca in Archeologia (Università Roma Tre)
Roma, 20 luglio 2014